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Mostra fotografica: "Memorie" L'ultimo scatto

Architettura industriale

In Italia le aree industriali dismesse rappresentano circa il 3% del territorio nazionale, una superficie di circa 9000 kmq, pari a quella della regione Umbria. Se immaginassimo di camminare lungo una strada, ogni 100 metri ci troveremmo 3 metri di suolo in stato di abbandono, senza contare tutte le strutture ed edifici pubblici e privati che hanno cessato la loro attività o siano stati abbandonati al decadimento.

 

La mostra fotografica “L'ultimo scatto” è il risultato di un lavoro iniziato nel 2017. Una raccolta di fotografie scattate nei primi due anni di ricerca, approfondimenti ed esplorazioni dei siti dismessi nella regione Lazio e nel resto d'Italia.

 

Gli scatti esposti sono il frutto della maturazione personale del fotografo, una fusione tra lo stile iniziale di natura urbanistica e paesaggistica e le linee guida dell'urban exploration, un ramo della fotografia dal modus operandi documentaristico il cui scopo finale non è tanto la denuncia del degrado e dell'incuria in cui versa il nostro tessuto urbano quanto la possibilità di cogliere l'attimo per raccontare ed emozionare chiunque si sia mai chiesto cosa può nascondersi dietro ad un cancello arrugginito che porta all'interno di un edificio dismesso.

L'urban exploration cattura un'immagine in cui il soggetto principale è il decay, il decadimento: mura immerse in un assordante silenzio che raccontano generazioni di lavoratori, di storie, dove tutto è lasciato come l'ultimo giorno e solo il tempo e le intemperie ne hanno trasformato i colori e l'atmosfera. Le geometrie, le luci naturali, le memorie sepolte da polvere ed intonaco sono al centro dell'ultimo scatto che il fotografo con la sua composizione riporta e tira fuori da quei luoghi senza futuro, con la consapevolezza che da un giorno all'altro questi edifici saranno abbattuti o riqualificati e si perderà per sempre un pezzo di storia locale o industriale.

 

Per la realizzazione di questo progetto il punto di partenza è stato, per ogni tappa, lo studio preliminare satellitare del sito seguito da ricerche che ne attestassero l'effettivo stato di abbandono o di cessata attività.

Questo, tuttavia, non mette al riparo da tutti i rischi a cui si va incontro una volta effettuato il sopralluogo vero e proprio sul posto. Da una parte i cartelli di pericolo crolli o di divieto di accesso allertano che il luogo è pericolante e ogni minima distrazione può essere fatale, dall'altra indicano che ogni edificio, seppur abbandonato da decine di anni, è ancora proprietà privata o delle amministrazioni locali.

Di conseguenza quando si parla di urban exploration è necessario tenere a mente che si cammina sul filo del rasoio... e della legalità, nonostante gli urbexer seguano un certo codice di comportamento che prevede, tra le altre cose, l'obbligo morale di sfruttare gli accessi già presenti, per quanto scomodi, senza mai compiere atti di vandalismo e portando sempre il massimo rispetto nei confronti del luogo e della sua storia. Difatti, l'unico vademecum per chi si appassiona a questo genere fotografico è “leave only footprints, take only emotions” / “lascia solo impronte, prendi solo emozioni.”

 

Il percorso fotografico parte da quella che viene considerata “architettura industriale”, della quale il territorio pontino reca numerose tracce, con il gran numero di industrie sorte nel corso degli anni anche grazie ai fondi destinati allo sviluppo economico nel meridione.

Nella regione Lazio, in verità, non sono solo le industrie ad essere diventate dei veri luoghi fantasma ma anche aziende che si dedicavano al commercio o al turismo, come nel caso del maxi Centro Direzionale Alitala chiuso in seguito alla crisi della compagnia di bandiera del 2008.

Una tappa importante del percorso è quella che ha portato alla riscoperta delle colonie marine lungo la Riviera Romagnola, dove un tempo soggiornavano bambini provenienti da tutta Italia e che al giorno d'oggi non sono altro che contenitori chiusi al centro delle cittadine o, peggio ancora, “eco-mostri” di architettura razionalista a due passi dal mare in aperto contrasto con le nuove strutture alberghiere sorte negli ultimi cinquant'anni.

La stessa sorte è toccata anche a luoghi di culto come chiese e monasteri o ancora a strutture ricettive come teatri, discoteche e parchi acquatici.

Senza dubbio la tappa più toccante del percorso - che invita alla riflessione - è quella in cui non è stato immortalato un singolo edificio ormai in balia del decadimento ma un intero agglomerato urbano che per rischio idrogeologico è stato evacuato e mai ricostruito. Sono due gli esempi di “ghost town” che il fotografo ha immortalato in questa avventura, entrambi interessati dalla stessa sorte seppure a distanza di 792 km e 12 anni l'uno dall'altro. La più vicina, sia geograficamente che storicamente, è il borgo di Apice in Campania, rimasto in stato di abbandono dopo il sisma dell'Irpinia del 1980. L'altra invece - dall'aspetto spettrale e surreale - è la città di Poggioreale in Sicilia, colpita dal sisma che distrusse la Valle del Belice nel 1968, oggi nient'altro che un museo a cielo aperto in cui i resti delle case sembrano ancora raccontare la vita quotidiana di un popolo, nel silenzio tombale dell'entroterra siciliano.

L'ultima parte della mostra infine è dedicata all'arte come espressione di libertà e creatività: come spesso accade, gli artisti di “street art” prediligono luoghi non convenzionali per eseguire le loro opere ed è proprio in questi contesti che il muro bianco di un capannone industriale si trasforma in una tela per veicolare un messaggio sociale.

 

In questi due anni sono stati effettuati migliaia di scatti e la selezione finale confluita poi nella mostra è il frutto di una scrematura che ha tenuto conto delle caratteristiche, dell'identità e della composizione personale di ognuno dei luoghi, spaziando tra varie tematiche e destinazioni d'uso ma terminando con un'unica riflessione finale: “siamo circondati da blocchi di cemento e la maggior parte delle volte non siamo neanche più in grado di prestare attenzione, ma ognuno di questi blocchi ha una storia che merita di essere ricordata, rispettata ed eventualmente tramandata - almeno tramite un ultimo scatto che ne conservi il ricordo quando la natura ed il progresso cancelleranno la memoria collettiva di ciò che è stato. La fotografia potrà forse fermare il tempo e concedere a tutti la possibilità di fare un viaggio nel passato”.

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Sede:

Palazzo Caetani, "Sala Mimosa"

Cisterna di Latina, LT, Piazza XIX Marzo

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Orari:

Venerdi 15 Marzo 2019

16:00 - 19:00

Sabato 16 Marzo 2019

10:00 - 13:00  /  16:00 - 20:00

Domenica 17 Marzo 2019

10:00 - 13:00  /  16:00 - 20:00

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INGRESSO LIBERO

 

 

Ideatore e curatore della mostra:

Gabriele Siragusa

 

Collaboratore nel progetto:

Lorenzo Tommasi

 

Fotografie:

Gabriele Siragusa

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